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Incidenti stradali: l’assicurazione risarcisce anche i familiari


Responsabilità del proprietario dell’automobile per i danni provocati con l’incidente stradale: l’assicurazione paga anche i parenti della persona danneggiata. Quando il danno derivato da un incidente stradale è particolarmente grave, l’assicurazione è tenuta a risarcire non solo l’automobilista che si è fatto male, ma anche i suoi familiari. E ciò vale, ancor di più, nel triste caso di morte del primo. Lo ha detto la Cassazione con una recente sentenza. La Corte ricorda che per “persona danneggiata” si intende non solo la vittima diretta dell’incidente, ma anche i prossimi congiunti (i familiari) o gli aventi causa della stessa (ossia gli eredi, in caso di decesso). Non solo. I danni non vanno necessariamente risarciti tutti nell’ambito del massimale; al contrario il limite del risarcimento è quello previsto per ciascuna persona danneggiata, distintamente per ciascun danno, salvo il limite del massimale cosiddetto “catastrofale” (ovvero per singolo sinistro) [2]. Con una sentenza del 2011, sempre la Cassazione aveva detto che, in caso di lesioni (non mortali) subite dal figlio convivente all’esito di sinistro stradale, è dovuto il risarcimento per la sofferenza interiore (o patema d’animo) e lo sconvolgimento dell’esistenza anche per la madre che vive con lui. Tale sofferenza del familiare, peraltro, non deve necessariamente essere dimostrata con le prove ordinarie del processo, ma può anche essere presunta [3]. A riguardo è interessante una sentenza del 2010 del Tribunale di Padova [4], secondo cui il ai familiari va risarcito il turbamento interiore e il pregiudizio alla serenità familiare, tutelato dalla Costituzione, anche in presenza di una prognosi di soli due mesi di guarigione. In tale sentenza è scritto che “quanto alla posizione dei genitori, va rilevato che in conseguenza del grave sinistro subito dalla figlia, essi hanno certamente sofferto un turbamento interiore, oltre che un pregiudizio alla serenità familiare, “essendo tali pregiudizi presumibili per il semplice fatto del rapporto genitoriale e di convivenza e della minore età della figlia”. Tali voci di danno vanno necessariamente quantificate in via equitativa e vanno determinate in base alla gravità delle lesioni subite dalla minore e, dunque, dell’entità della sofferenza prodotta anche in capo ai genitori e della lunghezza del periodo di cura e convalescenza. Al familiare, dunque, è risarcito il danno non patrimoniale consistente nel turbamento d’animo, nel dolore intimo sofferto e, in definitiva, nella sofferenza morale.

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