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Multe: se non c’è il cartello stradale il divieto non esiste


Principio di tipicità: la segnaletica stradale non serve a dare notizia di una prescrizione, ma la crea, per cui la sua assenza rende inesistente ogni prescrizione delle autorità. Che ci sta a fare il cartello stradale con la segnaletica rivolta agli automobilisti? A ricordare un divieto/obbligo esistente e che, comunque, i conducenti dovrebbero già conoscere oppure a “crearlo” del tutto? La questione è stata decisa di recente dalla Cassazione che, mantenendosi sulla stessa scia di precedenti interpretazioni, ha ricordato che, in materia di segnaletica stradale, esiste il cosiddetto “principio di tipicità”: in buona sostanza tutto ciò che è previsto dai cartelli esiste, mentre ciò che non è previsto dai cartelli non esiste. Cosa significa questo, in termini pratici? La segnaletica contenente divieti ed obblighi vincola tutti gli utenti della strada, in applicazione delle regole di normale prudenza. Essa si aggiunge ai divieti/obblighi contenuti nel codice della strada come quello, ad esempio, che stabilisce, nei centri abitati, il limite massimo di velocità di 50 km/h e, invece sulle autostrade, di 130 km/h; allo stesso modo è la stessa legge che stabilisce il divieto di sorpasso nei tratti di strada interessati dalla doppia linea continua o l’obbligo di indossare il giubbino a catarifrangenti in caso di sosta. Ed è sempre il codice della strada a imporre al conducente di non passare a semaforo rosso. Poiché queste prescrizioni sono contenute nella legge – e la legge non ammette ignoranza e non ha necessità di essere “pubblicizzata” se non con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale – l’automobilista è tenuto a conoscerle, senza poter giustificarsi in qualsiasi modo. Diverso è il discorso nel caso in cui vi siano disposizioni derogatorie alle imposizioni generali del codice. Infatti, dice la Cassazione [1], perché possa sussistere, in capo agli automobilisti, un dovere di comportamento diverso rispetto ai principi generali in materia di circolazione veicolare, sono necessari due presupposti: un provvedimento della competente autorità impositivo dell’obbligo (o del divieto) la pubblicazione di detto obbligo attraverso la corrispondente segnaletica predeterminata dalla legge, sicché, in tale evenienza, l’obbligatorietà della prescrizione del divieto resta condizionata alla legittimità del provvedimento amministrativo posto a fondamento della stessa. Insomma, i divieti e gli obblighi per gli automobilisti non possono essere “impliciti”, salvo comunque il generale divieto di guidare con prudenza, che vale a prescindere dall’esistenza di una apposita segnaletica. Senza la segnaletica non si può dire esistente la specifica prescrizione. Inoltre la segnaletica deve essere facilmente visibile e in buono stato di manutenzione. Secondo la Suprema Corte, in tema di circolazione stradale, il principio di tipicità posto a fondamento della disciplina sulla segnaletica stradale comporta che un determinato obbligo (o divieto) di comportamento è legittimamente imposto all’utente della strada solo per effetto della visibile apposizione del corrispondente segnale specificamente previsto dalla legge. La segnaletica stradale, infatti, costituisce non una forma di pubblicità notizia del comportamento imposto, bensì un elemento necessario e costitutivo, senza cui l’obbligo non può sussistere. In particolare, per potersi ritenere in capo agli automobilisti un dovere di comportamento di carattere derogatorio rispetto ai principi generali in tema di circolazione veicolare, è necessario il perfezionamento di una fattispecie complessa, costituita da: un provvedimento della competente autorità impositiva dell’obbligo (o del divieto) e dalla pubblicizzazione di detto obbligo attraverso la corrispondente segnaletica stradale predeterminata dalla legge. Pertanto, anche se l’automobilista conosce, per altre ragioni, l’esistenza del provvedimento amministrativo che impone un determinato comportamento stradale, ciò non è sufficiente a farlo ritenere in contravvenzione [2].

[1] Cass. sent. n. 3939/16 del 26.02.2016. [2] Cass. sent. n. 4058/2009, n. 3660/2009, n. 7543/2002.

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