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Che rischio se dichiaro che alla guida c’era un altro?



Multa e comunicazione dei dati del conducente alla polizia: scatta il reato di falso ideologico in atto pubblico per chi dichiara che alla guida c’era un’altra persona per evitare di perdere i punti nella patente.

C’è chi lo chiama «trucco della nonna» l’escamotage di dichiarare alla polizia, in caso di multa, che alla guida dell’auto c’era un parente anziano pur di non perdere i punti dalla patente e farli invece decurtare a chi l’auto non l’utilizza più o, comunque, ha ancora tutti i punti. Ma questo comportamento finisce per essere un reato, quello di falso ideologico in atto pubblico [1], reato che – badate bene – è punito con la reclusione fino a due anni. È quanto chiarito dalla Cassazione con una recente sentenza [2]. Ma procediamo con ordine e iniziamo da un esempio.


Che si rischia se si dichiara che alla guida dell’auto c’era un’altra persona?

Esempio # 1. Immaginiamo che un ragazzo usi prendere la sera l’auto della madre. A quest’ultima, un giorno, arriva una multa in quanto intestataria del mezzo e, insieme al verbale, c’è anche l’invito a comunicare i dati della patente di chi era effettivamente alla guida del mezzo per poter procedere alla decurtazione dei punti nei confronti di quest’ultimo. A giudicare dall’orario in cui è stato commesso l’illecito, la donna intuisce che si tratta di una contravvenzione commessa dal figlio, ma tuttavia quest’ultimo le chiede di “autodenunciarsi” e dichiarare di essere stata lei stessa a violare il codice della strada poiché, non avendo mai preso multe, ha ancora la patente “intonsa”. La madre acconsente. Senonché, il vigile, posto nelle vicinanze al momento dell’infrazione, era stato tanto scrupoloso da annotare (e riportare nel verbale) il sesso del conducente e la falsa dichiarazione della proprietaria del veicolo viene subito scoperta. Così, per il genitore inizia un calvario giudiziario di tipo penale. Esempio # 2. Immaginiamo un uomo che, per lavoro, fa l’agente di commercio ed è costretto a percorrere lunghi tratti di strada in auto. Per poter tornare prima a casa, un giorno schiaccia troppo sull'acceleratore e incappa in un autovelox. Quando gli arriva la multa a casa, poiché ha già pochi punti sulla patente, preferisce indicare – come dati dell’effettivo conducente – quelli del papà, il quale però l’auto non la usa più e, pur avendo la patente, preferisce farsi scarrozzare dai figli.


Tuttavia, la fotografia scattata dall'autovelox e ora in mano della polizia inchioda l’effettivo conducente: è evidente che alla guida non vi fosse un anziano genitore canuto, ma un uomo molto più giovane, che così viene incriminato per il reato di falso ideologico in atto pubblico e, oltre a pagare la multa, deve anche affrontare il procedimento penale.


Punti sulla patente: per evitare la decurtazione si possono dare dati falsi?

La Cassazione sconsiglia gli automobilisti dal fornire dati falsi di chi era alla guida dell’auto al momento della multa. Come tutti sanno, il problema si pone solo per quei casi in cui la polizia non ferma il trasgressore nell'immediatezza per consentirgli di difendersi seduta stante. Il che può avvenire, ad esempio, agli incroci, al semaforo, sulle autostrade o nei tratti di strade extraurbane o urbane a scorrimento individuate dal Prefetto ove l’alt al conducente potrebbe comportare un pericolo per il traffico. Ebbene, in tali ipotesi, la multa viene spedita a casa del proprietario del mezzo, a cui si risale attraverso il numero di targa. Per evitare però di decurtare i punti dalla patente a chi, invece, potrebbe essere colpevole solo di aver prestato l’auto a qualche familiare, la legge impone a quest’ultimo, entro 60 giorni dalla notifica della raccomandata con la multa, di comunicare all’organo accertatore nome, cognome e numero di patente di chi era effettivamente alla guida al momento della violazione del codice della strada. Sarà solo a quest’ultimo che verranno tolti i punti. In caso però di omessa comunicazione o di comunicazione negativa («non ricordo») senza che vi sia un giustificato motivo, per il titolare dell’auto scatta una seconda multa (ma non anche la decurtazione dei punti). A questo punto, contro i furbetti che dichiarano che alla guida c’era una persona diversa dall’effettivo responsabile, solo per non perdere i punti o salvare la patente dalla sospensione, scatta una condanna per il reato falso ideologico, che prevede una pena fino a due anni. E, almeno in alcune circostanze, non si può beneficiare della non punibilità per tenuità del fatto.


Nella maggior parte dei casi, i verbali delle infrazioni rilevate direttamente dagli agenti non sono così precisi e le immagini riprese dagli apparecchi automatici non sono esaminate con attenzione (anche perché non di rado non consentono una visione sufficiente dell’abitacolo). Ma non sempre è così. Non si può certo bluffare dicendo che un anziano era alla guida di una moto o che un uomo di novantanni fosse in giro per la città alle 4 di notte.


Senza contare il fatto che il vigile potrebbe essere nascosto in qualche auto o dietro il ciglio della strada e aver appuntato le fattezze fisiche del conducente, per poi verificare se questi dichiara il vero in sede di comunicazione dei dati dell’effettivo responsabile.


Secondo la Cassazione (che già in passato ha fornito medesima interpretazione [3]), si rientra nel reato di falsità ideologica commessa da privato in quanto «la dichiarazione del privato viene trasfusa in un atto pubblico destinato a provare la verità dei fatti, il che avviene quando la legge obblighi il privato a dichiarare il vero ricollegando specifici effetti al documento nel quale la dichiarazione è inserita dal pubblico ufficiale ricevente». È proprio il nostro caso, in quanto la dichiarazione ha l’effetto di «individuare il soggetto destinatario della sanzione amministrativa concludendo correttamente il relativo procedimento».


[1] Art. 483 cod. pen. [2] Cass. sent. n. 12779/2017 [3] Cass. sent. n. 17381/2016.


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